sabato 30 gennaio 2010

l'ultimo spettacolo: THE ADDICTION (A. Ferrara, 1995)



Sappiate infatti, miei cari, che ciascuno di noi è colpevole di tutto e per tutti sulla terra, questo è certo, e non soltanto a causa della colpa comune, ma ciascuno individualmente, per tutti gli uomini e per ogni uomo sulla terra. Questa consapevolezza è il coronamento della nostra vita di monaci, e anche della vita di ogni uomo.

Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov
Ibridando il cinema di genere con le interrogazioni filosofiche, teologiche e morali che innervano buona parte della sua filmografia, con The Addiction (1995) Abel Ferrara realizza un film-saggio che pone esplicitamente in essere la riflessione sulla natura del Male. Il cineasta italo-americano, proseguendo un discorso iniziato con Il cattivo Tenente (Bad Lieutenat, 1992) e che troverà un punto d’arrivo in Fratelli (The Funeral, 1996), realizza il secondo capitolo di una personale “trilogia del silenzio di Dio” in cui i mezzi, i dispositivi, gli archetipi e i cliché del genere horror vengono rifunzionalizzati e piegati per cercare la possibilità di filmare “una tragedia morale in un contesto vampiresco”. Nel sincretismo di materiali eterogenei e disturbanti che lo struttura, The Addiction accetta il rischio di porre domande escatologiche fondamentali. La parossistica tensione della ricerca di possibili risposte nasce dalla frizione snervante della dimensione filosofica (teoretica e al contempo narrativa, in quanto la protagonista – Kathleen Conklin– è un studentessa di filosofia) con un immaginario orrorifico disturbante, in cui il mito “gotico” del vampiro viene trasposto nelle strade sporche di violenza di una New York che è il paesaggio morale che vede la lotta tra il buio e la luce per il predominio. Il bianco e nero è una scelta stilistica che definisce un orizzonte estetico ed etico: con i frequenti carrelli che partono dal nero per rivelare poco a poco la scena, in cui si muovono ombre espressioniste che frantumano l’unità dei volti disegnandovi ragnatele di buio, Ferrara esemplifica l’annullamento nichilistico del soggetto, che emerge dal nulla per poi esservi di nuovo – e definitivamente – precipitato. Ma il bianco e nero diventa anche l’indice della ricerca di un realismo disperato, eliminando l’eccesso del rosso-sangue e l’equivoco dello splatter e rendendo vero e concreto il sangue che lorda le bocche ed i vestiti, che invade lo schermo: di fronte al nero che pulsa, uscendo dalle ferite aperte dal morso del vampiro, non possiamo ripararci – come insegna Godard – dicendo «non è sangue, è rosso». Dobbiamo accettare l’evidenza e confrontarci con l’orrore del reale: «non è nero, è sangue».

The Addiction è un film sulla dipendenza e il bisogno; sulla paura e il desiderio. Sulla paura di cedere al Male e desiderio di annullarsi nella sua voluttà. Ed è il film che definisce quella dimensione tragica verso la quale il cinema di Ferrara tende con la consapevolezza che il Male è l’espressione più profonda della natura umana. Ce lo mostra all’opera, qui ed oggi, nelle multietniche strade metropolitane, in cui i vampiri si aggirano randagi in cerca di vittime a cui proporre una possibilità di salvezza a partire dal rifiuto della tentazione.

Ma è possibile opporre questo rifiuto? Come dice il vampiro Casanova,
non siamo peccatori perché pecchiamo, ma pecchiamo perché siamo peccatori. In termini più accessibili non siamo malvagi per via del Male che facciamo, ma facciamo del Male perché siamo malvagi. Già, che scelta ha gente come noi? Direi che non abbiamo proprio altre opzioni.

Fabio Pezzetti Tonion

THE ADDICTION
(id, Abel Ferrara, 1995)
martedì 2 febbraio 2010, Cinema Massimo 3, ore 16.00
presentazione a cura di Riccardo Fassone e Fabio Pezzetti Tonion

martedì 26 gennaio 2010

l'ultimo spettacolo: RAGING BULL (M. Scorsese, 1980)

MICHAEL HENRY - Robert De Niro brought you Jake La Motta’s autobiography when you were preparing Taxi Driver. What attracted you to this character? Did your vision of him evolve in the years preceding the shooting?

MARTIN SCORSESE - I remember having read the book in California when I was finishing Alice Doesn’t Live Here Anymore. I also remember long conversations with Bobby during the night in my office at Warner Brothers. Honestly, it wasn’t like bolt of lightning. No matter what anyone claimed later, I didn’t even notice Jake’s opening sentence: “When my memories come back to me, I have the feeling that I’m watching an old film in black-and-white.”

The iconography of Mean Streets keeps popping up: the home movies, the holy pictures and the statue of St. Francis of Assisi in the father’s apartment, the relation between Joey and Jake, which is the same relation as the one between Charlie and Johnny Boy.

Absolutely, and I was very aware of that, even if I didn’t want to remake Mean Streets. The cross in the apartment is my mother’s. It was in Knocking, and the statue, too, I think, Jake shot them in 16mm. 16mm in the forties! He must have been rich. In Mean Streets, I only had 8mm, the format that less rich families had to use. We reshot Jake’s little bits of film with an Éclair. We had some problems with this because the original negatives were very dark and were often only three of four feet long! The Technicolor expert did great work, desaturating the colors, even putting color on the perforations, like in the scene of the wedding on the terrace in the Bronx. […] One of my favorite moments is there, when the camera reframes, on the right, on an extra who’s sitting apart, on the edge of the roof. That’s how I see myself, with this feeling of being a stranger, of being completely lost.

The progression of Jake La Motta toward self-consciousness, toward a certain powerful decision, even if it’s schizophrenic, doesn’t it reflect your own attitude toward the project and more generally toward cinema itself?

I don’t know. The film really doesn’t help me to see these things more clearly, nor does it help me understand others or myself. What really interests me is hope. In the pit of his dungeon, Jake doesn’t have anything, he’s lost it all. Vickie, his brother, his house, his children, his championship belt. Before, we saw him undergo a terrible punishment from Dauthuille. He let himself be massacred, then, in the last seconds, he had a surge of pride and demolished his opponent. In other words, he’s never really gotten what he deserves. He hasn’t paid. After which, he meets Robinson. What does he see there? He sees his blood squeezed out of the sponge, his body that they’re preparing for the sacrifice. For him, it’s a religious ritual and he uses Robinson to punish himself. As I told you, everything happens in his head.

Intervista rilasciata a Michael Henry l’11 febbraio 1981, tratta da Peter Brunette (a cura di), Martin Scorsese Interviews, University Press of Mississippi, Jackson, 1999.


TORO SCATENATO
(Raging Bull, Martin Scorsese, 1980)
venerdì 29 gennaio 2010, Cinema Massimo 3, ore 16.30
presentazione a cura di Peppino Ortoleva e Enrico Verra

giovedì 21 gennaio 2010

comunicazione di servizio

Cari amici,

le proiezioni del 27 (
Apocalypse Now) e 28 Gennaio (I predatori dell'arca perduta) sono state annullate e verranno recuperate nella seconda parte della rassegna l'ultimo spettacolo. Resta confermata la proiezione di Toro scatenato al Cinema Massimo il 29 Gennaio alle 16:30.

martedì 19 gennaio 2010

l'ultimo spettacolo: DAWN OF THE DEAD (G.A. Romero, 1978)


We want land, bread, housing, education, clothing, justice, peace and people's community control of modern technology.

Ten Point Program of The Black Panther Party. Punto 10.
Con Zombi (Dawn of The Dead, 1978), il cinema revenant di George A. Romero precipita nel reale. Se ne La notte dei morti viventi (Night of The Living Dead, 1968) la baita in cui si asserragliavano i sopravvissuti assomigliava a un’America in provetta, luogo simbolico, inevitabilmente espugnato, di emergenza dei conflitti razziali, sociali e di genere, il centro commerciale di Zombi è pienamente reale. Possiede una complessa geografia interna, fatta di cunicoli, stanze, corridoi, porte, ed esiste in un paesaggio che ha perso l’astrazione notturna del film precedente: è banalmente piatto, come molto midwest, investito di un sole insignificante, punteggiato di capannoni cubici, indistinguibili fra loro. Zombi, insomma, sembra proseguire il discorso intrapreso con La notte dei morti viventi e, al contempo, rilanciare il terrore suburbano – quartieri sterminati, giardini landscaped – de La città verrà distrutta all’alba (The Crazies, 1973), esito importante eppure spesso sottovalutato della poetica romeriana.

Non è, evidentemente, solo il contesto a essere mutato. Trasferito nell’America dei parcheggi e degli autolavaggi, si modifica anche l’orizzonte politico del cinema di Romero, furiosamente ideologico nel 1968, ora rassegnato a raccontare il reale. L’apocalisse prospettata da Zombi non è una distopia da fantascienza catastrofista né un macabro what if, piuttosto una fotografia. Romero documenta, con il filtro sottile di una metafora scopertissima, l’impatto inevitabile tra le due nazioni d’America: bianchi e non-bianchi, ricchi e non-ricchi, potenti e impotenti. Quello di Romero è un noi vs noi che sabota il noi vs loro della fantascienza da Guerra Fredda e aggredisce l’identità lacerata di un paese. Quelli che barcollano fuori dal centro commerciale e quelli che si barricano dentro vestono la stessa divisa.

Il mondo descritto da Zombi è, coerentemente con il nichilismo brutale del suo autore, interamente composto di residui. Gli Stati Uniti sono rottami sparsi dopo uno scontro, frammenti disparati, irriconducibili all’origine. Così, anche i gesti dei personaggi sono residuali o, nel migliore dei casi, parodistici. Gli zombi sembrano conservare memorie difettose della propria vita; i sopravvissuti, rinchiusi nel centro commerciale, ricostruiscono un’esistenza in sedicesimo. Basta allontanarsi di poco e diventa impossibile distinguerli.

Riccardo Fassone




ZOMBI
(Dawn of The Dead, George A. Romero, 1978)
giovedì 21 gennaio 2010, Auditorium del laboratorio G. Quazza (Palazzo Nuovo), ore 14.30
introduce Riccardo Fassone

giovedì 14 gennaio 2010

l'ultimo spettacolo: THE DEER HUNTER (M. Cimino, 1978)


«Il mio film pone la domanda: come si può continuare a condurre una vita normale dopo una tale esperienza? Mostra l’alternativa: o il suicidio o il ritorno a una vita normale con una dose di speranza. È una domanda che non ci si è ancora veramente posti negli stati Uniti e, benché lo si ignori, si pone adesso.»

«I produttori temevano assolutamente tutto di questo film […]. Non c’è scena che non li abbia messi in atroce imbarazzo. Li ho combattuti aspramente, utilizzando ogni sotterfugio. Tagliavo quello che volevano e di notte ce lo rimettevo: è stata una vera guerra, ancor più violenta di quella del Vietnam!»

Michael Cimino (Positif, aprile 1978)

Un colpo solo per vedere tutto quello in cui credi crollare. Michael Cimino è un regista nostalgico, perso in una «tradizione splendidamente inattuale». Il suo cacciatore, il leader del gruppo Michael Vronsky è l’eroe della frontiera, il solitario che cerca la sublimazione nella wilderness e nell’amicizia, tormentato da un passato che “lo blocca” e un presente che lo “devasta”. Il Vietnam è il luogo dell’anima che distrugge l’identità, sovverte il sistema di valori, uno stupro psicologico che porta all’autodistruzione, al tamburo di una pistola da cow-boy.

Un colpo solo per capire che una volta perso il controllo, diventa quasi impossibile tornare alla normalità. Il cervo scappa. Nick muore. Steven come se. Il capo ha fallito laddove era davvero importante. Il mito della frontiera collassa nel labirinto psicopatico della jungla.

Un colpo solo perché con tre si vince. L’imprevedibile, il colpo di teatro, il contropiede. Le regole fermano. Le regole distruggono. Il barlume di speranza negli occhi dell’eroinomane col panno rosso in testa è vuoto come tutto il tamburo della sua pistola dopo aver premuto il grilletto. Pesante come piombo per chi ha visto troppo, per chi sa non potercela fare, per chi si abbandona all’alienazione dopo aver visto l’abisso e toccatone il fondo.

Un colpo solo: «Bisogna mettere in un film tutto quello che si ha». Uscire devastati, diventare un tutt’uno con la prigionia, con quell’anima dilaniata, con quegli occhi spenti e al tempo stesso bruciati da un fuoco che va oltre il napalm, oltre Saigon, oltre gli stereotipi della tradizione.

«Questa storia del colpo solo a me pare una stronzata» dice Nick. L’eroe ha fallito. Non ci sono tramonti verso i quali cavalcare o ulteriori riti di passaggio. La natura ha vinto. Non resta che abbandonarsi alla speranza, cercare di ricostruire un piccolo simulacro di normalità. Farsi una birra. Cantare God Bless America, cercare di riempire il vuoto più grande. Non si torna dal cuore di tenebra.

Hamilton Santià

IL CACCIATORE
(The Deer Hunter, Michael Cimino, 1978)
venerdì 15 gennaio 2010, Cinema Massimo 3, ore 20.45
presentazione a cura di Gianni Volpi e Daniele Gaglianone

mercoledì 13 gennaio 2010

rédecouvrir l'Amérique. Eric Rohmer (1920-2010)


La visione di certi Griffith, di certi Hawks, di certi Cukor, di certi Hitchcock, di Mankiewicz o anche di una commedia, di un thriller, di un western firmati da nomi meno prestigiosi, è sempre stata sufficiente per convincermi che la costa californiana non è, per il cinesta dotato e appassionato, quell’inferno che alcuni pretendono, ma al contrario quella terra di elezione, quella patria che fu Firenze nel Quattrocento per i pittori, o Vienna nel XIX secolo per i musicisti… Se l’America non fa che renderci ciò che noi le abbiamo prestato, ce lo restituisce tutto: è questo l’essenziale.

E. Rohmer, Rédecouvrir l’Amérique, «Cahiers du cinéma», n. 54, noël 1955, ora anche in A. de Baecque (sous la diréction de), Le goût de l’Amérique, Petit Anthologie des Cahiers du cinéma, vol. I, Cahiers du cinéma, Paris 2001, pp. 34-35.

giovedì 7 gennaio 2010

one nation underground. Emile De Antonio al Cinema Massimo

“And the widows a-sighing
The children a-crying
The screams of the dying
Say you are lying, Uncle John”
Uncle John, Pearls Before Swine

Il cinema di Emile De Antonio scava in profondità all’interno della società americana. Lo fa perforando la sua superficie mediatica granitica e mostrandoci così il suo lato oscuro: il lato oscuro del potere. Lo fa accostando immagini guerrilla, interviste e materiali d’archivio in  un montaggio che si fa strumento fondamentale per la comprensione della Storia e per la nascita di una coscienza sociale. 

Ogni suo film somiglia ad uno strano tipo di urlo. Un urlo razionale, calmo e consapevole. L’urlo di chi vede intorno a sé morte, orrore e menzogne  ma è certo che una qualche verità possa ancora esistere, assoluta nella sua relatività. Potrete ascoltare l’urlo di Emile De Antonio al Cinema Massimo, Sala 3, dall’8 al 12 Gennaio. Una delle poche occasioni per incotrare il cinema di un grande cineasta militante, il cui sguardo sull’America ha saputo essere sempre lucido ed al tempo stesso coraggioso. 

Il mio problema è di operare un’interpretazione, una lettura di un certo reale, che sia tale che da un lato quest’interpretazione possa produrre degli effetti di verità e che dall’altro questi effetti di verità possano diventare strumenti all’interno di lotte possibili

Emile De Antonio
venerdì 8 gennaio
16.30 - Point of Order (1964, 97')
18.30 - America Is Hard to See (1970, 101')
20.30 - Rush to Judgement (1967, 95')
22.30 - In the King of Prussia (1982, 92')

sabato 9 gennaio
16.30 - In the Year of the Pig (1968, 101')
18.30 - Millhouse: a White Comedy (1971, 93')
20.30 - Underground (1976, 88')
22.15 - Painters Painting (1972, 116')

domenica 10 gennaio
16.30 - Mr. Hoover and I (1989, 90')
18.15 - Underground (1976, 88')
20.30 - Point of Order (1964, 97')
22.30 - Rush to Judgement (1967, 95')

lunedì 11 gennaio
16.15 - America Is Hard to See (1970, 101')
18.15 - Painters Painting (1972, 116')

mertedì 12 gennaio
16.30 - In the King of Prussia (1982, 92')
18.30 - Mr. Hoover and I (1989, 90')
20.30 - In the Year of the Pig (1968, 101')
22.30 - Millhouse: a White Comedy (1971, 93')

domenica 3 gennaio 2010

il 2009 degli ultracorpi - the best of


Giulia Carluccio

1.
   Bastardi senza gloria (Inglorious Basterds, Quentin Tarantino)
   Gran Torino (id., Clint Eastwood)
   The Wrestler (id., Darren Aronofsky)
2. 
   Up (id., Docter; Peterson)
   Basta che funzioni (Whatever Works, Woody Allen)
   Fantastic Mr. Fox (id., Wes Anderson)
   A Serious Man (id., Joel e Ethan Coen)
3.
   Segreti di famiglia (Tetro, Francis Ford Coppola)
   Nemico pubblico (Public Enemies, Michael Mann)
   Two Lovers (id., James Gray)


Riccardo Fassone

1. Drag Me To Hell (id., Sam Raimi)
2. Bastardi senza gloria (Inglorious Basterds, Quentin Tarantino)
3. The Wrestler (id., Darren Aronofsky)
4. Nemico pubblico (Public Enemies, Michael Mann)
5. Up (id., Docter; Peterson)
6. Two Lovers (id., James Gray)
7. Gran Torino (id., Clint Eastwood)
8. Una notte da leoni (The Hangover, Todd Phillips)
9. Segreti di famiglia (Tetro, Francis Ford Coppola)
10. Basta che funzioni (Whatever Works, Woody Allen)


Attilio Palmieri

1. Bastardi senza gloria (Inglorious Basterds, Quentin Tarantino)
2. Segreti di famiglia (Tetro, Francis Ford Coppola)
3. Up (id., Docter; Peterson)
4. The Wrestler (id., Darren Aronofsky)
5. Gran Torino (id., Clint Eastwood)
6. Revolutionary Road (id., Sam Mendes)
7. Basta che funzioni (Whatever Works, Woody Allen)
8. Nemico pubblico (Public Enemies, Michael Mann)
9. Two Lovers (id., James Gray)
10. A Serious Man (id., Joel e Ethan Coen)



Andrea Mattacheo

1. Gran Torino (id., Clint Eastwood)
2. Drag Me to Hell (id., Sam Raimi)
3. Bastardi senza gloria (Inglorious Basterds, Quentin Tarantino)
4. A Serious Man (id., Joel e Ethan Coen)
5. Che (id., Steven Soderbergh)
6. Two Lovers (id., James Gray)
7. The Wrestler (id., Darren Aronofsky)
8. Up (id., Docter; Peterson)
9. Nemico Pubblico (Public Enemies, Michael Mann)
10. Frozen River (id., Courtney Hunt)


Hamilton Santià

1. Fantastic Mr. Fox (id., Wes Anderson)
2. The Wrestler (id., Darren Aronofsky)
3. Nemico pubblico (Public Enemies, Michael Mann)
4. Nel paese delle creature selvagge (Where the Wild Things Are, Spike Jonze)
5. Gran Torino (id., Clint Eastwood)
6. Bastardi senza gloria (Inglorious Basterds, Quentin Tarantino)
7. Two Lovers (id., James Gray)
8. A Serious Man (id., Joel e Ethan Coen)
9. Breaking Upwards (id., Daryl Wein)
10. Adventureland (id., Greg Mottola)