venerdì 12 febbraio 2010

l'ultimo spettacolo: THE CONVERSATION (F. F. Coppola, 1974)


Come stavano le cose? Il sibilo era diventato più debole? No era diventato più forte. Origlio in una decina di posti diversi e mi accorgo chiaramente dell’inganno, il sibilo è sempre lo stesso non è cambiato niente. Lassù non ci sono cambiamenti, si sta in pace, incuranti del tempo; qui invece ogni attimo sconvolge chi origlia.

Franz Kafka, La tana

La conversazione si apre con un lentissimo zoom, che dall’alto invade discretamente la quotidianità di Union Square, San Francisco. Interferenze misteriose disturbano il caotico vociare di una domenica pomeriggio. È la rappresentazione, in un solo movimento, di un potere che ha cambiato faccia. Le cui armi di controllo sono diventate i fucili dei microfoni direzionali e le cui radici affondano nella “biopolitica”. Harry Caul è convinto di gestire questo potere, di avere il coltello dalla parte del manico. Sicuro, all’interno della sua fortezza sigillata ermeticamente. Un uomo con nulla di personale se non numerosi mazzi di chiavi, grazie ai quali pensa ingenuamente di chiudere il mondo fuori dalla porta.

“La registrazione sarebbe venuta meglio se non fossi stato a sentire quello che dicevano!” Harry riprende il suo collega Stan, reo di essere umano. Le voci si rubano, non si ascoltano. Sono solo nastri da manipolare e consegnare al cliente. Nessuna conseguenza, nessun rimorso: “ho peccato padre, ma non sono responsabile, non mi sento responsabile”. Dare un volto alle voci significa vedere le persone, empatizzare con loro, capirle e forse capire qualcosa. Le persone portano a galla il rimosso e fanno paura. Harry Caul ha ucciso e sta per uccidere di nuovo. E gli spettri iniziano a tormentarlo, quelli sepolti del passato e quelli sfuocati del futuro. I morti spaventano più della morte stessa. Ovunque vada può sentirli e vederli, lo trovano persino nelle profondità oscure dei sogni. I morti lo tormentano perché per la prima volta si pone delle domande. Comincia così la ricerca di una verità del tutto vana, che apre solo nuove e inquietanti voragini.
La conversazione è il racconto di un’inutile presa di coscienza individuale che rimanda sottilmente a una sconfitta politica. Siamo nel 1974.

“La certezza mi porterà, o la consolazione o la disperazione, ma, come che sia, questa o quella sarà certa e motivata” [1]. Per Harry Caul, come per la talpa di Kafka, la certezza diventa l’oggetto di un’ossessione, destinato a rimanere irraggiungibile. Il sogno impossibile di smascherare le apparenze e incidere sulla realtà. Perché nell’America messa in scena da Coppola non c’è contrasto tra realtà e apparenza, in quanto esse coincidono [2]. Sono i simulacri di un nuovo ordine del potere.

Quello che resta a Harry , dopo la caduta del suo santuario, è la drammatica consapevolezza di vivere in un mondo in cui ogni confine netto è saltato, dove chiunque può essere allo stesso tempo vittima e carnefice. Un mondo costruito su di un compromesso ambiguo, marcio e inquietante. Quello che resta allo spettatore è l’ultima disperata panoramica: un uomo solo, le macerie di un appartamento e l’urlo di un sassofono. Un urlo destinato a rimanere sospeso nel vuoto.

Andrea Mattacheo

[1] Franz Kafka, La tana in Franz Kafka, Tutti i romanzi e i racconti, Newton Compton, 1991, p. 775
[2] Franco La Polla, Il nuovo cinema americano, Marsilio, 1985, p. 214


Da molti considerato - insieme a Apocalypse Now - il film più importante di Francis Ford Coppola, The Conversation (1974) pone al centro la vicenda di Harry Caul (Gene Hackman, reduce da The French Connection), intercettatore professionista di chiara fama nel pur riservato settore ("The best bugger in the West Coast", secondo l'ambiguo tributo che gli dedica il collega-rivale Bernie Moran, intepretato da Allen Garfield). A Harry viene affidato l'incarico di intercettare e registrare la conversazione che due giovani intrattengono camminando all'ora di pranzo nell'affollatissima Union Square di San Francisco. L'intero film si costituisce attorno a questa sequenza iniziale trattandola come un vero e proprio evento traumatico primario, una urszene a cui Harry assiste e che ricostruisce (ambiguamente) soltanto in seguito in quanto evento (la conversazione di due innamorati in pericolo) ed in quanto trauma (per la colpa che su di lui ricade in quanto vi ha assistito).

Intorno a questa scena primaria della conversazione si sviluppa, metafisica nei risvolti filosofici ma allo stesso tempo violentemente terrena nelle figure che vi prendono luogo, un'archeologia del ricordo che dimostra nel finale la sua intima relazione con una teleologia del comportamento, giacché quello che Harry Caul ha estratto dai suoi scavi fonografici non giustifica l'interpretazione che egli ne ha fornito, in un rovesciamento di fronte che converte le due presunte vittime in probabili carnefici. La conversazione tra Ann e Mark ammette infatti, quantomeno, un'altra interpretazione, senza che che se ne possa peraltro escludere la natura di spettacolo appositamente allestito per Harry e la sua privata visione di voyeur professionista. è proprio questa trasformazione di Harry da regista (che riprende i due giovani) a spettatore dello spettacolo che costoro allestiscono per lui che, disseminando "il dubbio ontologico su tutto il percorso di lettura" (Bruno), fa di The Conversation una meditazione sullo statuto del reale e della rappresentazione.

"Blow Up del sonoro" (Cosulich), realizzato nel varco stretto che separa i due episodi di The Godfather (tanto da costringere il regista a lavorarvi nel fine settimana), rimborso autoriale che Coppola ottiene in cambio delle due grandi produzioni che lo attorniano, forse anche per questo resta "un'opera segreta e un po' mitica" (Burdeau). E d'altra parte non giova, alla sua uscita, la circostanza storica del Watergate, che, se non fuorvia il giudizio critico contemporaneo al film, pure lo inserisce di fatto all'interno del genere "paranoia movie" forse decretando in tal modo, proprio per la sua eccentricità al genere, l'insuccesso al botteghino.
Al di là dell'evidente statuto metafilmico (basti pensare al lavoro di produzione audiovisiva svolto da Harry),
The Conversation è soprattutto un "film da ascoltare" (Monaco), che Coppola costruisce attraverso un mirabile dispositivo di fascinazione, capace di allestire una vera e propria "trappola sonora" (Caprara).

Andrea Valle


LA CONVERSAZIONE
(The Conversation, Francis Ford Coppola, 1974)
venerdì 19 gennaio 2010, Cinema Massimo 3, ore 20.30
presentazione a cura di Andrea Valle e Andrea Mattacheo