lunedì 24 maggio 2010

l'ultimo spettacolo: HEAVEN'S GATE (M. Cimino, 1980)


I CANCELLI DEL CIELO (Heaven's Gate, Michael Cimino, 1980)
martedì 25 maggio 2010, Cinema Massino - Sala 3, ore 20.30
presentazione a cura di Gianni Volpi

domenica 16 maggio 2010

l'ultimo spettacolo: BLUE VELVET (D. Lynch, 1986)


Dopo il grande successo ottenuto con Elephant Man (id., 1980), David Lynch venne cercato da diversi produttori per dirigere film ad alto budget. Fra le tante proposte, Lynch accettò quella di Dino De Laurentiis per la trasposizione cinematografica del romanzo Dune di Frank Herbert: il contratto prevedeva che, dopo aver girato questo colossal, De Laurentiis avrebbe finanziato al regista anche un progetto più personale e a basso costo.

Dune (id.,1984) fu un flop ai botteghini americani: costato 45 milioni di dollari, ne recuperò negli Stati Uniti soltanto 27. Dopo questo insuccesso, De Laurentiis accetta di rispettare il contratto e produrre l’altro film di Lynch a patto che quest’ultimo non superi i 5 milioni di dollari di budget e che lavori a salario ridotto. Lynch accetta queste condizioni in cambio di libertà assoluta su sceneggiatura e montaggio. Così nasce Velluto blu (Blue Velvet, 1986), il film che il critico cinematografico di Rolling Stone, Peter Travers, ha definito la pellicola più importante degli anni Ottanta. Nei titoli di testa una tenda di velluto blu sembra impedirci di vedere cosa c’è oltre; Lynch aveva dichiarato che: «il velluto è un materiale quasi organico», un materiale che appare vivo, a diretto contatto con il corpo umano.

Quando la tenda scompare possiamo iniziare a vedere: l’incipit di Velluto blu è una perfetta sintesi di tutto il cinema di David Lynch. È una tranquilla giornata nella provincia americana: mentre ascoltiamo la canzone Blue Velvet di Bobby Vinton vediamo passare dei pompieri sorridenti, i bambini attraversano la strada per andare a scuola, un uomo innaffia il suo giardino. Ma qualcosa di diabolico sta per accadere. L’uomo che innaffiava il giardino cade a terra morto, e la macchina da presa scorge nell’erba il particolare di alcune formiche che combattono. Poi appare il protagonista Jeffrey (Kyle MacLachlan) che, passeggiando in un prato, trova qualcosa che non dovrebbe esserci in un mondo tanto perfetto: un orecchio mozzato, che lo trascinerà in un vortice di violenze e misteri. L’armonia cittadina viene così sconvolta dalla presenza del perturbante, che si annida nei luoghi che (in apparenza) erano quelli più famigliari. Lumberton, la cittadina di Velluto blu, come Twin Peaks qualche anno dopo, rappresenta la provincia americana che, dietro alle facciate delle grandi ville con giardino, nasconde atti perversi e crimini orribili.

Velluto blu è però anche e soprattutto un film sull’atto del vedere: noi spettatori prendiamo il punto di vista del giovane Jeffrey che decide di scoprire cosa si nasconde oltre l’orecchio che ha trovato. Per farlo dovrà spiare: spiare nascosto da una tenda (simile a quella dei titoli di testa) che gli permette di vedere, senza essere visto, le violenze perpetrate visceralmente dal carnefice Frank (Dennis Hopper) sulla vittima Dorothy (interpretata da Isabella Rossellini). E fu proprio per una scena di nudo della Rossellini (la quale inizierà dopo questo film una breve relazione con David Lynch) che Gianluigi Rondi si rifiutò d’inserire Velluto blu nel concorso della Mostra di Venezia: l’allora direttore del festival, infatti, si racconta che si alzò a metà proiezione dicendo che quella scena infangava la memoria dei genitori dell’attrice: Roberto Rossellini e Ingrid Bergman.

Naturalmente i distributori italiani colsero la palla al balzo e pubblicizzarono Velluto blu come un film erotico e scandaloso, scegliendo una locandina con un’immagine scabrosa e quasi pornografica. Immagine, tra l’altro, non presente nel film.

Andrea Chimento
Paolo Parachini

VELLUTO BLU (Blue Velvet, David Lynch, 1986)
martedì 18 maggio 2010, Cinema Massimo, ore 16.30
presentazione a cura di Andrea Chimento e Paolo Parachini

lunedì 10 maggio 2010

l'ultimo spettacolo: DO THE RIGHT THING (S. Lee, 1989)

FA' LA COSA GIUSTA (Do The Right Thing, Spike Lee, 1989)
martedì 11 maggio 2010, Lab. Quazza - seminterrato P. Nuovo, ore 15.00
presentazione a cura di Riccardo Fassone

domenica 2 maggio 2010

l'ultimo spettacolo: YEAR OF THE DRAGON (M. Cimino, 1985)





All’interno del “genere”, il ritorno di Michael Cimino alla regia. Dopo cinque anni dal disastroso insuccesso de I cancelli del cielo (Heaven’s Gate, 1980), viene infatti offerta al regista la possibilità di portare sullo schermo un (alquanto anonimo) romanzo di Robert Daley, L’anno del dragone. L’occasione è colta al volo da Cimino che, con l’aiuto di Oliver Stone - nel ruolo di sceneggiatore - riesce a realizzare un impietoso ritratto della società americana degli anni Ottanta; società in cui il fantasma del Vietman - tema che accomuna queste due forti personalità, Cimino e Stone - riecheggia ancora minaccioso all’orizzonte.


Non è bastato a Cimino evocare i fantasmi della guerra nel precedente Il cacciatore (The Deer Hunter, 1978): con L’anno del dragone (Year of the Dragon, 1985) trasferisce il nemico “a casa propria”. Nello scontro tra il poliziotto - reduce di guerra - Stanley White (Michey Rourke) e la mafia cinese di Chinatown (simulacro di un “nuovo Vietnam”), Cimino denuncia, ancora una volta - ma mai come ora con tanta disperazione - il fallimento dell’American Dream: White vuole ristabilire l’ordine in una società che non vuole cambiare. Ora che finalmente i “nemici”, invisibili in Vietnam, sono davanti a lui, le forze dell’ordine - le stesse per cui lavora - gli impediscono di “agire”. Specularmente a White, Joey Tai (John Lone) - giovane gangster cinese che vuole assumere il controllo delle triadi mafiose - si trova a dover combattere anch’egli una società “rigida” - quella mafiosa - in cui i vecchi capi non vogliono cedere il passo alle nuove generazioni. Forzatamente emarginati dalle loro rispettive fazioni, i due si ritroveranno a scontrarsi, nel finale del film, nel luogo-simbolo della “marginalità”, ovvero tra le luci e le ombre di un ponte - fortemente stilizzato attraverso un sapiente uso della luce - nella zona portuale di New York.


Ma L’anno del dragone non rappresenta unicamente un sottile esempio di critica nei confronti della società americana. È anche un perfetto esempio di “rivisitazione” del genere noir, in maniera assolutamente innovativa. Lontano infatti dalle “stilizzazioni citazioniste” dei neo-noir degli anni Ottanta (inaugurate da Brivido caldo [Body Heat, 1980] di Lawrence Kasdan), L’anno del dragone mantiene, nel corso del film, un freddo distacco dal genere affrontato, pur riconoscendone l’appartenenza. Poco interessato alle “citazioni” ed ai richiami al passato, Cimino affronta il genere “dall’interno”, o, per meglio dire, utilizzando “più lo spirito che lo stile”. Disinteressandosi a riferimenti per compiacere il cinefilo, il film risulta assolutamente “sanguigno”, “sentito” dal regista stesso come mezzo di accusa più che come omaggio ad un cinema scomparso (che pure ama). Scelte dure, “scomode”, ben visibili nella caratterizzazione del personaggio di White: razzista, misogino, scorbutico. I temi affrontati da Cimino sono “scottanti” e le posizioni prese spesso risultano ambigue. Ma questo è il cinema di un regista che sente “visceralmente” il bisogno di dichiarare le proprie inquietudini. Prendere o lasciare.


Nicolò Vigna



L'ANNO DEL DRAGONE (The Year of the Dragon, Michael Cimino, 1985)
martedì 4 maggio 2010, Lab. Quazza - seminterrato P. Nuovo, ore 15.00
presentazione a cura di Giulia Carluccio e Nicolò Vigna