giovedì 24 dicembre 2009

visioni: A SERIOUS MAN (J. & E. Coen, 2009)


“E allora perché sei così colpevole, se non l’hai rubato?”
“Ma io non sono colpevole!”
“E allora perché saremmo qui ad interrogarti se non sei colpevole?”

J. Heller, Comma 22, 1955

Sta forse nel non essere
l’immensità di Dio?

G. Caproni, Pensiero Pio, 1975


Qualcuno “lassù” doveva avere dei problemi con Larry Gopnik: senza che avesse fatto niente di male, una mattina il suo piccolo mondo gli crollò addosso[1]. A Serious Man inizia dopo un prologo oscuro ed inquietante, ambientato nella Lublino di metà ottocento che, come ogni grande transizione dal mondo reale a quello della diegesi, dice già tutto. Poi una lunga spirale – isotopia del non senso “coeniana” – trasporta lo spettatore nel 1967 sulle note dei Jefferson Airplane: «When the truth is found to be lies | and all the joys within you dies», Larry Gopnik spiega di fronte ad una classe, piena eppure vuota, il paradosso di Schrodinger. Un gatto dentro una scatola con una “macchina infernale”. Chi può dire a priori, dopo un tempo determinato, se il gatto sarà vivo o morto? Nessuno, ovviamente: solo l’osservazione risolverà l’enigma. È la storia della vita di Larry. Sotto processo senza sapere perché, libero con la condizionale, una sentenza decretata da un tribunale invisibile. Alla ricerca di un ordine che non sembra proprio esserci. Incredulo di fronte al tradimento della moglie, alle stranezze del fratello, a quelle del figlio giovane “cannabinomane” e della figlia, il cui unico scopo nella vita pare essere quello di lavarsi i capelli.

Un uomo che vorrebbe tanto essere serio e sereno, e invece si ritrova in preda ad una crisi di identità, imposta da un mondo senza centro. Costantemente scambiato per qualcun altro, da poliziotti o venditori telefonici di dischi non ancora incisi e tormentato da incubi in cui abitano vicine di casa provocanti o nazisti membri dell’NRA. A Larry non rimane che cercare un senso nelle risposte della fede. Dai rabbini, però, non troverà che altre incertezze. Il loro Dio si maschera dietro il “non essere”. Uno di loro, un giovane altrettanto perso di fronte all’esistenza, lo invita con voce strozzata a guardare il parcheggio di fronte alla sinagoga, per comprendere così il disegno di Hashem. Un parcheggio semivuoto. E nulla più. Le scale, nell’universo messo in scena dai fratelli Coen, non portano al cielo, ma a tetti con antenne da aggiustare per ricevere meglio Canale 4.

«Accetti il mistero» si sente dire Larry da un surreale avvocato sudcoreano. Lui però, matematico in cerca di finitezza, il mistero non riesce proprio ad accettarlo. Rimane così altrettanto smarrito quando tutto sembra mettersi per il verso giusto. Grazie ad incidenti e coincidenze potrà ritornare alla sua vita normale. Tranquillamente inquieto di fronte alla sua classe assente, spiegando loro il principio di indeterminazione heisenberghiano: non è possibile conoscere simultaneamente la quantità di moto e la posizione di una particella con certezza. Larry non è che un ammasso di particelle, ora sa nuovamente dov’è. Ma dove andrà? Basta una telefonata per cancellare una conclusione apparentemente lieta. I risultati degli esami sono arrivati, bisogna parlarne subito e di persona, dice il medico. E allora non ci resta che osservare inquieti un tornado stagliarsi sul fondo del cielo plumbeo. L’ultima tetra spirale che chiude il film. Sicuri della sola cosa davvero certa: La Fine. Della vita, di tutto, senza nessun senso, senza intelligenze ordinatrici. «Come un cane». E forse la vergogna ci sopravviverà[2].

Andrea Mattacheo

[1] Perdonate la parafrasi di Kafka, ma non ho saputo resistere. Spero che Kafka, ovunque sia il suo spirito, faccia lo stesso.
[2] Di nuovo scusa a chi legge… e ovviamente a Kafka.


2 commenti:

  1. Dajeggiù Mattacchione, che questa la copioeincollo e poi la firmo per Effettonotte!

    DocK

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  2. Caro Simone,

    Ci fa piacere saperti tra i nostri lettori...

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