domenica 2 maggio 2010

l'ultimo spettacolo: YEAR OF THE DRAGON (M. Cimino, 1985)





All’interno del “genere”, il ritorno di Michael Cimino alla regia. Dopo cinque anni dal disastroso insuccesso de I cancelli del cielo (Heaven’s Gate, 1980), viene infatti offerta al regista la possibilità di portare sullo schermo un (alquanto anonimo) romanzo di Robert Daley, L’anno del dragone. L’occasione è colta al volo da Cimino che, con l’aiuto di Oliver Stone - nel ruolo di sceneggiatore - riesce a realizzare un impietoso ritratto della società americana degli anni Ottanta; società in cui il fantasma del Vietman - tema che accomuna queste due forti personalità, Cimino e Stone - riecheggia ancora minaccioso all’orizzonte.


Non è bastato a Cimino evocare i fantasmi della guerra nel precedente Il cacciatore (The Deer Hunter, 1978): con L’anno del dragone (Year of the Dragon, 1985) trasferisce il nemico “a casa propria”. Nello scontro tra il poliziotto - reduce di guerra - Stanley White (Michey Rourke) e la mafia cinese di Chinatown (simulacro di un “nuovo Vietnam”), Cimino denuncia, ancora una volta - ma mai come ora con tanta disperazione - il fallimento dell’American Dream: White vuole ristabilire l’ordine in una società che non vuole cambiare. Ora che finalmente i “nemici”, invisibili in Vietnam, sono davanti a lui, le forze dell’ordine - le stesse per cui lavora - gli impediscono di “agire”. Specularmente a White, Joey Tai (John Lone) - giovane gangster cinese che vuole assumere il controllo delle triadi mafiose - si trova a dover combattere anch’egli una società “rigida” - quella mafiosa - in cui i vecchi capi non vogliono cedere il passo alle nuove generazioni. Forzatamente emarginati dalle loro rispettive fazioni, i due si ritroveranno a scontrarsi, nel finale del film, nel luogo-simbolo della “marginalità”, ovvero tra le luci e le ombre di un ponte - fortemente stilizzato attraverso un sapiente uso della luce - nella zona portuale di New York.


Ma L’anno del dragone non rappresenta unicamente un sottile esempio di critica nei confronti della società americana. È anche un perfetto esempio di “rivisitazione” del genere noir, in maniera assolutamente innovativa. Lontano infatti dalle “stilizzazioni citazioniste” dei neo-noir degli anni Ottanta (inaugurate da Brivido caldo [Body Heat, 1980] di Lawrence Kasdan), L’anno del dragone mantiene, nel corso del film, un freddo distacco dal genere affrontato, pur riconoscendone l’appartenenza. Poco interessato alle “citazioni” ed ai richiami al passato, Cimino affronta il genere “dall’interno”, o, per meglio dire, utilizzando “più lo spirito che lo stile”. Disinteressandosi a riferimenti per compiacere il cinefilo, il film risulta assolutamente “sanguigno”, “sentito” dal regista stesso come mezzo di accusa più che come omaggio ad un cinema scomparso (che pure ama). Scelte dure, “scomode”, ben visibili nella caratterizzazione del personaggio di White: razzista, misogino, scorbutico. I temi affrontati da Cimino sono “scottanti” e le posizioni prese spesso risultano ambigue. Ma questo è il cinema di un regista che sente “visceralmente” il bisogno di dichiarare le proprie inquietudini. Prendere o lasciare.


Nicolò Vigna



L'ANNO DEL DRAGONE (The Year of the Dragon, Michael Cimino, 1985)
martedì 4 maggio 2010, Lab. Quazza - seminterrato P. Nuovo, ore 15.00
presentazione a cura di Giulia Carluccio e Nicolò Vigna

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