martedì 6 aprile 2010

l'ultimo spettacolo: MYSTIC RIVER (C. Eastwood, 2003)


[...] In Mystic River si parla d'America, di Mito e di Sogno molto più di quanto non appaia dall'intreccio poliziesco che ne costituisce l'ossatura. E se ne parla, soprattutto in prospettiva rispetto ad altri film di Eastwood, in termine sottilmente storicizzati e tremendamente disillusi. C'è una tristezza silenziosa e impotente che attraversa tutto il film, un'ossessiva coazione a ripetere, un'ineluttabilità degli eventi, che trasformano Mystic River in una tragedia già scritta, senza vie di fuga, dove il Destino finisce per chiamarsi Storia.

Raccontare e spiegare la complessa tessitura di cui è composto questo doloroso e claustrofobico affresco americano significa non rendere giustizia all'intelligenza e alla cultura dell'autore, che in una bella intervista a "Positif" ha semplicemente evidenziato i diversi piani di scrittura (e di lettura) del film (compresa l'analogia tra il personaggio di Laura Linney, la moglie di Jimmy, e Lady Macbeth) e ne ha riassunto in tre parole il significato profondo: "É una tragedia americana, una storia di innocenza perduta". [...]

Emanuela Martini, «Cineforum» n. 426, giugno-luglio 2003

[...] La forma classica del poliziesco è solo lo strato più superficiale, fintamente aritmetico, di un film che si chiude nella ristrettezza di spazi angusti, nella penombra della marginalità urbana. Crudele storia di figli violati e di padri accecati dalla vendetta, figli crocifissi dai padri, per essere stati, a loro volta, figli crocifissi, figure che hanno perso da tempo la propria innocenza e che vagano nella vita di tutti i giorni estranei al mondo e a se stessi. Vampiri, appunto, un po' vivi e un po' morti, come il vampiro di Carpenter che si mostra da un televisore, brandendo, non a caso, una croce, come il nome di Dave scritto a metà su quella lapide da cui tutto è iniziato. Il giardino, qui, non conosce la divisione tra bene e male, è il teatro nero dei giochi di morte giocati alla cieca, e la vita è solo una strada da percorrere ad occhi chiusi, per non vedere davvero la realtà. Coras verso la fine (uguale a Un mondo perfetto, ma senza la luce schietta che illuminava "salvando" quel film), a precipizio verso l'oscurità, il gesto irrimediabile, che coincide con l'inizio, con la pallina che cade nel tombino ed è persa per sempre.

Non corpi riemersi per compiere una missione, ma non-vivi brancolanti all'ombra di croci su cui è impresso il senso di colpa di ognuno. L'anello di uno dei due rapitori di Dave, i crocifissi appesi alle pareti degli interni, la croce tatuata sulle spalle di Jimmy. Proprio a lui toccherà portare il peso più grande nell'impossibile implosione di tutto il suo dolore. Alla parata del Columbus Day rientra nei ranghi, ritorna a percorrere quella linea retta che è la forma filmmica di Mystic River, la progressione necessaria, tutta compresa nella sua freddezza funerea di film che, alla fine, si richiuse in se stesso.

Grazia Paganelli, La linea retta, «Filmcritica» n. 540, dicembre 2003

MYSTIC RIVER
(id., Clint Eastwood, 2003)
mercoledì 7 aprile 2010, Cinema Massimo - Sala 3, ore 20.030
presentazione a cura di Giulia Carluccio, Emanuela Martini e Grazia Paganelli

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