sabato 11 dicembre 2010

TFF 2010 - Jack Goes Boating (Philip Seymour Hoffman)


Jack è la quintessenza del protagonista
indie degli ultimi anni: uno sfigato eterno giovane con parecchie difficoltà a relazionarsi. C’è, però, una differenza fondamentale: Jack vuole uscirne. Uscirne davvero. Ed è su questa variazione che Hoffman decide di lavorare. La sua macchina da presa rispetta sì tutti i dettami stilistici del cinema Sundance degli ultimi anni (pochi movimenti di macchina, prevalenza del primo piano…), ma li usa per tratteggiare la graduale crescita del personaggio: come se la maturazione dell’attore coincidesse con la maturazione del regista.

Questa consapevolezza può essere il frutto della carriera di Hoffman che, da autentico esponente dell’universo indipendente, conosce tutti i modi per rappresentare una storia senza cadere nel tranello che negli ultimi anni sembra aver depauperato questo tipo di cinema: l’autoindulgenza. Non è un caso, quindi, che i dettagli su cui si concentra sono gli elementi che permettono la vera “emancipazione”: le mani con cui Jack impara a nuotare e cucinare, gli occhi di Connie che passano dall’insicurezza alla felicità, le smorfie con cui Clyde e Lucy sottolineano un rapporto che si rompe vestendo d’inquietudine le nevicate di New York, storicamente legate a tutt’altro immaginario.

C’è una sequenza che spiega perfettamente la differenza tra
Jack Goes Boating e il prodotto medio da Sundance: il protagonista cerca di ritirare un modulo da compilare (un nuovo lavoro, il primo step per “uscire dall’adolescenza” e trovarsi qualcosa di meglio che non sia l’autista di limousine nella ditta di suo zio) ma, arrivato in ritardo, si vede respinto dall’inflessibile burocrate di turno. Il personaggio “tipo” del cinema indipendente avrebbe reagito in due modi. Uno: avrebbe osservato la scena con una certa inespressività, con conseguente effetto ironico. Due: sarebbe esploso in un’esagerata manifestazione di violenza. Jack, invece, si limita ad arrabbiarsi. Manda a quel paese il suo avversario dall’altra parte del vetro e gli urla un insulto: rabbia repressa, ma perfettamente umana.

Il senso di
Jack Goes Boating va probabilmente cercato in questa capacità di trattare e tratteggiare l’umano e i suoi sentimenti seguendo il naturale flusso degli eventi. Non forza, non cerca una spettacolarità sui generis, non segue gli stereotipi del prodotto “average”, non strizza l’occhio costruendo un elaborato sistema di citazioni (vedi la musica: la presenza di gruppi come Grizzly Bear e Fleet Foxes è perfettamente in linea, ma vero tema ricorrente del film è Rivers Of Babylon dei Melodians, un brano reggae). Il punto forte dell’esordio di Philip Seymour Hoffman è quindi un’onestà che, se da un lato non lascia niente all’immaginazione mettendo in scena “tutto”, dall’altro offre la possibilità di un’apertura capace di guardare quella fetta di America che vuole superare lo stallo.

Hamilton Santià

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