domenica 19 dicembre 2010

TFF 2010 - Winter's Bone (Debra Granik)


Ree vive in una zona prevalentemente montuosa del Missouri e, a causa delle malattia non meglio precisata della madre, deve prendersi cura dei due fratelli più piccoli. La vita però si rende ancora più complicata quando la ragazza scopre che il padre, noto produttore e spacciatore di sostanze stupefacenti, esce di galera e garantisce la loro casa come cauzione qualora lui non si fosse presentato all’udienza successiva. La ricerca del padre diventa per la ragazza - che non si arrende - sinonimo di disperazione e violenza subita.

È ormai visibile a tutti una certa tendenza riscontrabile nelle trame dei film vincitori al Sundance Film Festival da due anni a questa parte: vengono predilette le storie aventi come protagoniste donne di carattere forte e tenace, che non sognano un mondo migliore bensì semplicemente una vita normale. Basti pensare a Frozen River di Courtney Hunt (in cui ritorna lo scenario invernale) dove una donna sceglie l’illegalità per garantire una nuova casa prefabbricata ai suoi figli oppure a Precious che racconta di una diciassettenne (la stessa età di Ree) picchiata e stuprata dal padre, che decide di riscattarsi attraverso l’iscrizione a una scuola con un programma “speciale” e, soprattutto, decidendo di tenere il bambino che ha in corpo.

Sono storie perlopiù ambientate nell’America profonda, quella xenofoba e guerrafondaia che crede nell’alcool (o nella droga) come soluzione estrema a ogni male, ma che però è muta, non riesce a esprimersi perché non è andata a scuola e preferisce l’uso del fucile alle parole. È l’America che vota Bush e non Obama perché non vuole la presenza assidua del governo federale all’interno dei suoi confini “auto”- stabiliti, preferendo il darwinismo sociale alla legge.

La regista dipinge la comunità dove vive Ree attraverso reminescenze di genere che richiamano alla memoria in maniera esplicita certe atmosfere western riconducibili a film come The Ox-Bow Incident di William Wellman. Questi nazionalisti fanatici (si noti l’esubero delle bandiere stelle e strisce), che conoscono solo l’arte della guerra e l’arruolamento nell’esercito come unica possibilità di riscatto finanziario e morale, sono i diretti discendenti dei protagonisti di Wellman.

Non bisogna infatti pensare a Winter’s Bone come a un semplice trattato sociologico che mostra l’America profonda e i suoi tratti più inspiegabili, perché è nell’accostamento di generi (non solo il western, ma anche il noir, l’horror e il thriller) che la pellicola della Granik trova compimento. La ricerca del padre scomparso – o come dicono gli stessi americani “che ha traslocato in favore delle tenebre” – si affolla di misteri e di domande senza risposta. Ree entra in conflitto con le abitudini tribali di una comunità che vive grazie al narcotraffico e, di casa in casa, di ferita in ferita (prima morale, poi anche fisica), riesce ad andare in profondità arrivando a scoprire “lo scheletro” del mistero che aleggia sulla scomparsa del padre, giungendo a toccare il cuore barbarico dell’America, così come il film quello archetipico del cinema americano.

Winter’s Bone risulta sicuramente ammirevole per la linearità e il rigore tragico – quasi disperato – che assume l’andamento del racconto, mentre lo stesso paesaggio esterno acquisisce il carattere cupo e claustrofobico di una messa in scena in interni. Anche se talvolta la regista ricorre ad alcune convenzioni abusate nella rappresentazione dell’America profonda - la presenza della musica metal come metonimia della violenza - il film acquisisce sicuramente, anche grazie alla totale mancanza di colonna sonora e a una fotografia molto brutale e immediata, l’accezione di descrizione dura, livida, ma soprattutto reale. Proprio per questo motivo l’ultima sequenza (Ree e i due fratelli sono seduti vicino al portico e la figlia minore accenna un motivetto country al banjo) non ricorre al consueto schema fiabesco che vede il Male sconfitto dal Bene, bensì si risolve in una sospensione, un finale aperto verso la speranza.

Mariella Lazzarin

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