domenica 19 dicembre 2010

TFF 2010 - Vanishing on 7th Street (Brad Anderson)

Brad Anderson è una figura singolare, un personaggio che percorre in modo imprevedibile l'orbita che circonda la stella dell'audiovisivo. Un regista che ha interpretato in maniera decisamente moderna la sua presenza all'interno del panorama cinematografico/televisivo. Nato nel Connecticut nel 1964, studia in Europa alla London International Film School, specializzandosi come montatore. Seguendo una strada ormai battuta esordisce nel lungometraggio al Sundance Film Festival con The Darie Gap nel 1996. Nel 2001 si fa conoscere dagli amanti dell'horror con Session 9, attraversamento di un manicomio a basso costo e nel 2004, grazie ad una produzione spagnola gira L'uomo senza sonno, divenuto famoso soprattutto per lo sforzo attoriale di Christian Bale. Non contento Anderson offre il suo occhio anche al servizio del piccolo schermo dirigendo l'episodio Rumori e tenebre dei Masters of Horror e circa una decina divisi tra The Shield, The Wire, Fringe e Boardwalk Empire.

Vanishing on 7th Street presentato al Torino Film Festival nella sezione Rapporto confidenziale racconta la storia di Luke, Paul, Rosemary e James, unici sopravvissuti di un blackout che colpisce la città di Detroit. La vita e la morte non dovrebbero essere direttamente in discussione in casi come questo, ma stavolta il buio porta con sé le vite che incontra, lasciando gli abiti quali unica testimonianza delle esistenze scomparse. I quattro eroi si rifugiano nel solo luogo in cui è ancora possibile stare al mondo, un vecchio bar la cui luce artificiale è prodotta da un generatore a benzina posto nel seminterrato. Ma il carburante è destinato a finire.

Il film di Brad Anderson immediatamente dichiara la sua appartenenza all'horror apocalittico che negli ultimi anni, tra cinema a televisione, ha visto nel suo novero una serie crescente di opere. Una volta spenta la luce all'interno della sala si accende quella della macchina da presa di Anderson, che ci propone una storia non nuova dal punto di vista narrativo (il videogioco
Alan Wake è solo uno dei tanti luoghi da cui Vanishing sembra aver pescato), ma con ambizioni teoriche che, almeno in prima istanza, appaiono di grande portata. Si esiste solo se illuminati. Sembra essere questa la proposizione chiave del film, quella che ne racchiude il senso. Così come i colori esplicitano la loro diversità solo se toccati dalla luce, gli uomini del film mantengono la loro presenza corporea solo se visibili. Un incipit che affonda nella dialettica tra luce e buio inserendosi nel rapporto scopico tra presenza e assenza: la visione del sé è subordinata alla visione altrui. Si esiste, dunque, attraverso gli occhi di chi ci osserva, solo se la nostra immagine è riconoscibile da uno sguardo che è altro da noi.

Purtroppo questi buoni presupposti svaniscono dopo mezz'ora di film in favore della tendenza al melodramma sentimentale e alla dichiarazione di velleitari messaggi dal sapore universale. Con un teorema dal ritornello cartesiano i protagonisti del film si convincono di esistere (“mi impongo di esistere ergo sono”), evocando rimandi filosofici, sempre purtroppo sul profilo dello slogan, che in un film apocalittico stonano, per superficialità e inconsistenza, così tanto da suscitare il riso.

Attilio Palmieri

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