domenica 19 dicembre 2010

TFF 2010 - The Ward (John Carpenter)

La storiografia del cinema horror statunitense è opera, in particolare negli ultimi dieci anni, da attribuirsi anche a fan, blogger e a pubblicazioni ibride come «Fangoria». La creazione di un canone in continuo aggiornamento operata da forum e pubblicazioni amatoriali è uno dei fenomeni più interessanti prodotti dal cinema della contemporaneità. Non sorprende, a tal proposito, la produzione di film evidentemente destinati a solleticare la fan culture (si pensi al cult “a priori” Machete di Rodriguez) e accendere gli interessi degli appassionati.
Il ritorno di John Carpenter dopo un silenzio decisamente lungo interrotto da due notevoli produzioni per la televisione è destinato a generare simili meccanismi di culto. Scorrendo i commenti di chi ha visto il film a Toronto, Sitges o Torino è difficile non individuare una forma radicalizzata nei toni e a volte un po' miope di politica dell'autore. I critici di The Ward sembrano praticare, per il momento, una sorta di caccia al tesoro dei riferimenti carpenteriani piuttosto che l'esercizio dell'analisi.

Ambientato nel 1966, il film racconta di un gruppo di pazienti di un ospedale psichiatrico femminile tormentate dalla presenza di un fantasma. In effetti c'è spazio in abbondanza per la comparatistica carpenteriana. Il manicomio (e la datazione) non possono che rimandare al prologo di
Halloween – La notte delle streghe, mentre l'ambientazione claustrofobica evoca la figura dell'assedio, presente trasversalmente nel cinema dell'autore fin da Distretto 13: le brigate della morte. Se, dunque, la ricerca di continuità stilistiche e tematiche è una pratica ammessa dal film, rimane da chiedersi che servizio si renda all'opera di un autore decisivo nella storia del cinema nordamericano riducendo il suo percorso a una serie di rimandi e autocitazioni. Ovvero, perché ridurre Carpenter a un marchio, accodandosi alla mediocre trovata promozionale del “John Carpenter's” anteposto al titolo del film?

The Ward è in realtà un film difficilmente collocabile non solo all'interno del percorso carpenteriano, ma anche nell'ambito del cinema di genere americano contemporaneo. Da un lato, è certamente vero che si tratta di un'opera coscientemente inattuale, specie considerando la velocità con cui si affastellano le diverse new wave dell'horror statunitense. Difficile accostare The Ward alle correnti più à la page del cinema dell'orrore americano; il film di Carpenter non ricorre al citazionismo e alla parodia, è sorprendentemente parco di dettagli gore e non imbastisce meccanismi metanarrativi di particolare rilevanza. L'autore sembra piuttosto cercare un dialogo con quella vena ormai emersa in seno al cinema americano che tematizza il sogno e l'allucinazione nel tentativo di ridefinire gli spazi della narrazione. Si può pensare all'ospedale di Carpenter come a un gemello dell'isola dello Scorsese di Shutter Island. In entrambi i casi l'idea di confine sembra applicarsi tanto all'invalicabilità delle mura (o, nel caso di Scorsese, all'impossibilità di fuggire dall'isola), quanto alla porosità delle membrane che separano gli stati mentali. Carpenter non evoca necessariamente i fantasmi della mente, ma concretizza fantasmi che provengono dalla mente e invadono lo spazio labirintico della clinica. The Ward, pur modesto nei mezzi e, in alcuni casi, nella messa in scena, è un film che sembra riallacciare il dialogo tra un cinema di genere incomprensibilmente ghettizzato dalle meccaniche del fandom e le intuizioni più alte del cinema americano contemporaneo.

Riccardo Fassone

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